Una gallina passeggia sul tavolo della cucina. Non so come sia entrata; ero certo di aver chiuso la porta sul cortile e non ho voglia di alzarmi per scacciarla. La guardo beccare le briciole di pane, con quella sua espressione da gallina. Decido di lasciarla fare. Immagino che lascerà anche la cacca sul tavolo e mi disgusta l’idea di doverla pulire. Ma mi rendo conto di non riuscire ad alzarmi. Forse dovrei chiedere aiuto, chiamare un’ambulanza, fare qualcosa. Guardo le mie gambe nude e vedo la carne che sembra friggere attorno alle vene incandescenti. Ma ormai non mi importa più di nulla. Da quando ho liberato tutti i frammenti della mia vita, mi sono sentito libero anch’io. Sono libero, troppo libero.
Cerco di alzarmi, ma crollo come se le mie gambe fossero tronchi secchi e marci. Sono sorpreso, però, dalla forza e dal sostegno che mi danno le braccia. Mi trascino fino alla cucina, mi arrampico sul tavolo e riesco a stare in piedi. Scaccio la gallina, che corre via. Si apre la porta della cucina e lei esce. C’è un ragazzo che la fa uscire. Mi guarda e sorride. Lo conosco bene, è un vecchio nemico. Mi dice: “Continuerò a farla entrare finché non deciderai se posso restare o andare via”. Non può vedere lo stato delle mie gambe dalla porta. Non vede che il mio corpo sta marcendo. Gli dico di andarsene. Lui finge di farlo, ma vedo ancora la sua ombra dietro la porta chiusa. È lì che studia le mie debolezze. Penso che sia ora di comprare un fucile.