lunedì 20 giugno 2011

Grigio sfumato



Grigio è il non colore per eccellenza. 
Un foglio bianco è semplicemente qualcosa che non è stato ancora disegnato, ma se qualcuno rappresentasse il concetto di nulla, lo farebbe sicuramente col colore grigio. 
L'altro giorno ero alla mostra di Tamara De Lempicka. Lei usava molto il grigio negli sfondi dei suoi quadri, forse per dare più risalto ai colori accesi e definiti dei soggetti in primo piano. Un contrasto cromatico in grado di esaltare il desiderio della materia, tra aspettativa e rappresentazione. Attenzione, non tra freddezza e calore, ma tra l'essere e il non essere... o almeno tra l'essere e il contare molto poco.
Grigio è il colore del cielo nelle giornate di brutto tempo, che sembra calare su tutto il mondo sottostante. Il cupo che incombe minaccioso e severo. 
La negazione di colore che evoca malinconia.
Grigio è il colore che hanno le persone quando smettono di vivere, quando accarezzi il loro viso ghiacciato e capisci che sono solo delle sculture, con le sembianze delle persone che hai amato. E capisci che quel gesto conta solo per te... e che ne faresti volentieri a meno.

Non c'è spazio per il grigio nell'arcobaleno, ma tra le pietre sì.
Nella scatola dei pastelli di un bambino sarà quasi sempre il colore meno cosumato, quello che si conserva per la nuova confezione quando gli altri finiscono. Con due pastelli nuovi nuovi, hai voglia a disegnare nuvoloni.

Il grigio è il colore che esce mescolando della tempera bianca, con un pizzico di tempera nera. Non troppo nero però. In modo che alla fine risulti un bianco che si è sporcato. 
Alla fine, secondo me, il grigio non è neanche un vero e proprio colore. Qualcuno deve avergli dato un nome tanto per farsi capire brevemente. Bianco-che-si-è-sporcato esce troppo lungo da dire. Tanto esiste una parola per molte cose che non esistono, perché risparmiarsi.

E poi finisce che certi giorni ti senti un poco grigio anche tu... anche se non sei morto, né vorresti esserlo. La chiami apatia, ma non rende bene l'idea. Grigio e la parola adatta. Meglio ancora bianco, mischiato con un pizzico di nero.

venerdì 17 giugno 2011

Pride


Il Gay Pride: un momento di riflessione collettiva sullo stato della comunità LGBT. Oltre alla lotta per i diritti, c’è una questione parallela di visibilità. Quanto apertamente le persone LGBT possono vivere la loro identità senza subire discriminazioni o pressioni sociali?

In Italia, la strada da percorrere è ancora lunga. La cultura del paese, radicata nel conservatorismo, trascende le divisioni politiche tradizionali. Nonostante l’influenza della religione e le responsabilità eluse dalla politica, il cuore del problema risiede nella cultura stessa, con le sue resistenze apparentemente insormontabili.

Analogamente al movimento femminista, che dopo anni di battaglie non ha ancora liberato completamente le donne dalle catene di una cultura machista, il movimento gay rischia di seguire lo stesso percorso. Una volta conquistati i diritti, avremo la forza e l’autostima per esprimerci pienamente come individui?

Il dibattito annuale sul Gay Pride riflette questa incertezza. Alcuni condannano gli ‘eccessi’ della manifestazione, rivelando una mancanza di comprensione interna alla stessa comunità LGBT. Ma cosa rappresenta veramente questo orgoglio gay se siamo costretti a moderarci, a chiedere di essere accettati e integrati?

I membri della comunità LGBT devono comprendere che ciò di cui hanno bisogno non è l’integrazione, ma lo spazio per esprimersi liberamente. Ogni persona merita questo diritto, nel rispetto reciproco. Gli eterosessuali godono di meccanismi sociali che permettono loro di esprimere la propria individualità attraverso la famiglia, la genitorialità, l’educazione, la professione e altro ancora. Questi meccanismi sono garantiti dai diritti sanciti dai governi, diritti che anche la comunità LGBT contribuisce a sostenere.

Perché allora i cittadini LGBT non dovrebbero godere degli stessi diritti? Qual è il problema del mondo con il modo in cui esprimono la loro identità?