lunedì 23 giugno 2014

Attraverso le generazioni


Nella stanza si percepisce l’usuale, impeccabile aroma di pulizia, frutto di disciplina e amore.

Esistono luoghi che, nell’infanzia, appaiono immensi. Luoghi che poi si ridimensionano alla loro effettiva grandezza nel momento in cui si cresce. Tuttavia, questa vecchia camera da letto non ha mai smesso di rimpicciolirsi, perché nel frattempo è il grande letto al centro che ha iniziato a ingrandirsi. Prima ha inghiottito la nonna, saziandosi per qualche anno, poi ha reclamato anche il nonno.

L’immagine del “letto di morte” non mi piace; evoca una paura quasi folcloristica, irreale. Questo letto si è semplicemente ingozzato, dimostrando quanto possa essere piccola una stanza.

Accanto al letto, c’è un antico comò, parzialmente coperto di cornici e fotografie. Tutte immagini di persone scomparse da anni, ben prima dei miei nonni. Non le riconosco tutte; alcune sono lì da tempo immemore. Hanno assistito alla nostra crescita, alle nostre gioie, sofferenze e al pianto per i nostri cari, osservandoci con occhi che sembrano di spiriti, o forse solo con lo sguardo di chi sta svanendo anche dai ricordi.

Nessuna foto nostra, nessuna immagine dei vivi. A noi, i vivi, è riservata la stanza per le grandi occasioni. L’elegante salotto barocco, lussuoso e kitsch, eccessivo per una casa di campagna, ma estremamente appropriato per una casa di contadini. È il tempio dedicato ai vivi, alla loro idealizzazione e preservazione, alla rivincita e alle aspettative smisurate. Intoccabile. Ricordo quanto mi incuriosiva e divertiva da bambino, e quanto si allarmava la nonna ogni volta che aprivo i mobili e toccavo i suoi preziosi cristalli.

Ricordo anche quanto abbiamo frequentato quella stanza negli ultimi anni, con il nonno, per celebrare i suoi compleanni, sempre più preziosi e sorprendenti. Le generazioni passate, presenti e future si sono incontrate in quella stanza, scambiandosi sguardi di orgoglio e amore che hanno attraversato quattro generazioni. Non so se questo abbia soddisfatto le migliori aspettative per quella stanza, ma un certo riscatto è stato concesso ai suoi abitanti, sebbene, probabilmente, in modo non previsto.

L’unica stanza che ancora non riesco a decifrare è quella dove dormiva mio padre, la sua camera. Assomiglia alla cella di un monastero, così cupa da poter assorbire anche la luce più giovane e intensa. La osservo con impazienza dal corridoio. Questa stanza non è diventata piccola insieme a me, è semplicemente ancora piccola, lo è sempre stata. È una piccola stanza crudele, che potrebbe essere il palcoscenico di qualsiasi incubo infantile. C’è un letto a scomparsa, sempre chiuso, simile a un’enorme valigia nera abbandonata da qualcuno che è partito senza portarla via e senza intenzione di tornare a prenderla.


giovedì 19 giugno 2014

L'ombra delle cose




Io sono lui. Sono il suo corpo etereo che si trascina pesantemente lungo il viale. Sono le parole prive di senso che sgorgano dalle sue labbra macchiate di sangue. Sono i suoi pensieri disordinati, che si rincorrono rapidi, tentando di afferrare un ragionamento inesistente.

La luce, il calore, la polvere. Poi un fischio, un unico, monotono fischio continuo. Tutto si frantuma: la pietra, il legno, le ossa. Tutto, eccetto il tessuto della realtà, che rimane indifferente al mutamento: perché non è mai esistito altro che il cambiamento.

Un filo persiste, anche se questo non è altro che un ennesimo convito di carne per il dio del sangue. Il dio che deve frantumare le cose per cercare la scintilla al loro interno.

Eppure, il filo persiste. Forse è troppo prezioso, non può essere dissipato, deve essere protetto dalla madre tessitrice. Il filo che tesse la tela delle cose, indicando dove si trovano, dove stanno andando e dove sono state. Si piega appena sotto il loro peso, cullando la loro ombra piuttosto che preservare la loro luce. Le cose mutano ma rimangono sempre distese su questo invisibile tessuto. Tutto, purché rispettino questa delicata promessa.

Così, io divento completamente il suo corpo, che precipita pesante, come se nulla più lo sostenesse. Un corpo che si addentra nella verità della propria carne, scoprendo la connessione con il tutto proprio nel momento in cui essa perde ogni utilità.