sabato 5 novembre 2011

Dulcis in fundo


Anna si accorse che forse era arrivato il momento di ridipingere la casa. Percorse il lungo corridoio, esaminando le pareti ingiallite e screpolate. Non erano semplici crepe: passando la mano, ne sentiva la consistenza. Alcune erano calde al tatto, altre sembravano pulsare leggermente. Si chiedeva se fosse il riflesso del suo battito o se fosse davvero il muro a muoversi sotto la pressione della sua mano.

Per la prima volta notò sottili venature di blu, verde e viola sulle pareti, come se il loro colore autentico fosse nascosto da uno strato di vernice. Quel disordine doveva essere coperto al più presto, così Anna sollevò il ricevitore per chiamare l’imbianchino. Quella casa era il suo regno, e non poteva sopportare che qualcosa non fosse perfetto. Sarebbe stato come uscire disordinata o indossare vestiti sporchi. In quella casa c’era tutta la sua vita.

Rispose una voce timida, la figlia dell’imbianchino, che spiegò come il padre fosse ormai anziano e avesse cessato l’attività da anni. Anna ringraziò e riattaccò.

Pensò quindi di chiedere consiglio alla vicina, che anni prima le aveva raccomandato quell’imbianchino. Tentò di chiamarla, ma non rispose nessuno. Non la vedeva né la sentiva da così tanto tempo che le era difficile persino quantificarlo.

Si diresse nel salotto e si mise a ricamare sulla sua poltrona preferita. Osservò il suo lavoro e per la prima volta si rese conto della bellezza di ciò che aveva creato. Era una trapunta che raffigurava la Primavera di Botticelli, riprodotta con maniacale attenzione per ogni dettaglio. Non si era mai soffermata ad ammirare il suo lavoro con tanta attenzione. Era magnifico, incarnava ciò che amava di più nella vita: la bellezza e la grazia. Aveva impiegato anni per completarlo e le sembrava incredibile essere così vicina al termine.

Il suo cuore batteva forte, il viso si arrossò e gli occhi si riempirono di lacrime. Era riuscita a donare al mondo ciò che il mondo non le aveva dato. La stretta al petto, il dolore, all’inizio le sembrarono bellissimi. Strinse una mano al petto. Non pianse per la bellezza solo perché il dolore era insopportabile.


giovedì 3 novembre 2011

Lontano. Ma non abbastanza.


Arriverà il giorno in cui sorvoleremo le vette di ciò che oggi conosciamo, e con un sorriso di tenerezza, ricorderemo i nostri miti. Guarderemo con affetto l’ingenuità di Cristo e con un gesto paterno, perdoneremo la maldestra malvagità di Lucifero.

Comprenderemo l’irrazionalità e la follia di ciò che è stato, riconoscendo che, persi nelle nostre fantasie, abbiamo mancato di vedere il disegno più grande che ci avvolge.

La chiarezza arriva con la giusta prospettiva. Un viaggiatore comprende veramente la sua casa e la sua famiglia solo allontanandosi da esse, quando decide che è tempo di cessare la raccolta di dati e di prendersi un momento per analizzarli con lucidità. Solo distanziandoci da ciò che crediamo di conoscere perfettamente possiamo giungere a una comprensione totale.

Purtroppo, non possiamo distaccarci dal mondo come facciamo con le altre cose. L’unica nostra opzione sarebbe farlo cessare di esistere, come accade nei sogni. I sogni talvolta ci lasciano con l’impressione di aver compreso qualcosa di vitale, ma al risveglio, quella rivelazione sfugge, lasciandoci solo con la sensazione vuota della consapevolezza.

A volte, mi sento sopraffatto dalla necessità di trascrivere un flusso di informazioni che scorre più veloce della mia capacità di scriverle.

Cristo che piange per i nostri peccati, Lucifero che architetta complotti per conquistare i nostri cuori… Tutto ciò mi appare già come un’illusione. Eppure, non è ancora abbastanza distante da essere compreso nel suo significato più profondo.